mercoledì 31 dicembre 2014

Just friends

Quando un’amica chiama non servono parole, né spiegazioni superflue.
Quando un’amica chiama, si corre, si offre una spalla su cui piangere, un abbraccio di conforto, un orecchio pronto ad ascoltare, una bocca che non giudica, e sì, anche un paio di schiaffi, più o meno metaforici, se servono.
Quando un’amica chiama, non importa se mancano due giorni a Natale, se hai la febbre a 38, se il giorno dopo devi alzarti alle 7, ed è pure il lunedì dopo una settimana di ferie, e nemmeno se la pancia dell’ottavo mese pesa dannatamente.
Quando un’amica chiama si risponde, senza nessun tentennamento, perché sai che domani potresti essere tu a chiamare, e lei risponderebbe esattamente allo stesso modo.
Senza esitazione, mollando marito e bambini col raffreddore, chiedendo due ore di permesso dal lavoro, saltando sullo scooter in piena notte per tenerti la mano, o per stare a fianco a tua madre mentre tu sei in travaglio, oppure a tuo padre, durante la seduta di chemioterapia.
O per fotografarti sfatta e ridere insieme di quei momenti tremendi.
Perché le amiche servono a questo.
Sono le stesse amiche con cui ridi a crepapelle, e nei momenti duri daresti un braccio per far riapparire quel sorriso, per svuotare la testa e tenersi la pancia e massaggiarsi le guance contratte dalle troppe risate.
E quelle con cui condividi passioni e storie "che se non c'eri non si può raccontare...".
Sono le stesse amiche con cui litighi, vomitando cattiverie per abbracciarsi e ricominciare da capo.
Perché di quelle amiche lì tu conosci ogni limite, ogni difetto, e la cosa è reciproca, ma sai che mai, nessuno, userà quelle tue debolezze per farti del male.
E’ la stessa sicurezza che si ha in famiglia, da bambini, di abitare in un luogo protetto, dove nessuno punterà mai il dito, e quando lo farà, sarà sempre per troppo amore.
Ancora una volta mi rendo conto di quale risorsa meravigliosa siano le relazioni amicali che sono stata in grado di costruirmi negli anni, una rete ampia, sempre pronta a prendermi al volo quando sono sull’orlo del precipizio.
Una rete che si fa di giorno in giorno più grande, approfittando del grande privilegio che amicizia ha, rispetto all’amore: la non esclusività, il fatto che amici di amici possano diventare a loro volta amici fra di loro.

Per quanto mi riguarda, questo è stato il dono più grande che mi ha portato il 2014.
Amici nuovi, speciali, anime affini, con cui basta uno sguardo per capirsi, e una parola, detta allo stesso momento (flic-floc) dietro cui si apre un mondo.
E ancora più grande, il dono di vedere mie carissime amiche intrecciare nuove relazioni tra di loro, riconoscendosi, come le proverbiali anime gemelle, per intelligenza, profondità, ironia, bellezza, quasi a ritrovare un pezzo di sé sparso per il mondo.

Auguro a tutti che il 2015 porti almeno una persona speciale di questo calibro sul proprio cammino. Perché senza amici non si può stare.

Buon anno!

lunedì 15 dicembre 2014

Frida


Ieri sono stata alla mostra di Frida Khalo qui a Genova.

L’amica S. ci ha organizzato la visita guidata, facendoci un regalo grandioso: una guida turistica d’eccezione che ieri ho avuto l’onore di conoscere per la prima volta, nonché la fortuna di apprezzare per il lavoro unico e super interessante che porta avanti.


Daniele Gatti è infatti un attore e una guida turistica, con una grandissima passione per la storia dell’arte che, unita a quella per la recitazione, fanno del suo lavoro qualcosa di unico e particolarissimo, che tutti una volta nella volta nella vita dovrebbero conoscere (date un’occhiata alla pagina Facebook del suo progetto "Acting Tour").

Conoscevo già Frida, più la sua storia di donna e la sua storia d’amore con Diego Rivera, che mi aveva sempre affascinato profondamente; meno le sue opere, ma la mostra di ieri è stata davvero toccante, grazie anche al taglio che la nostra guida ha dato alla visita.

Infatti la mostra di Genova ha il privilegio di ospitare opere sia di Frida che del suo grande amore Diego Rivera, raccontandoci così una storia diversa: quella di Frida e Diego, della loro storia d’amore, tumultuosa, passionale, devastante e meravigliosa. La storia di due personalità fortissime e contraddittorie che coesistono scontrandosi, compensandosi, intrecciandosi, respingendosi e contaminandosi continuamente.

Diego é un artista messicano, caratterizzato da una forte connotazione politica: le sue opere hanno sempre al centro il tema del lavoro, dello sfruttamento del lavoro e della causa del partito comunista.

Frida è un’autodidatta, dipinge perché non può farne a meno, trattando temi intimi, personali, e al tempo stesso universali.

E così il percorso della mostra si snoda su questo binario parallelo, raccontando la carriera in rapida ascesa di Diego e il suo ruolo nella vita di Frida, regalandoci il ritratto di una donna straordinaria, forte e fragilissima, persa nell’amore per Diego ma consapevole delle sue debolezze, vittima di atroci sofferenze sia nell’animo che nel fisico (a causa di un terribile incidente avvenuto nel 1925, quando lei aveva 18 anni che la costrinse a letto per lunghissimo tempo e a causa del quale subì oltre 30 operazioni chirurgiche nel corso della vita), ma caratterizzata ugualmente da un’incredibile voglia di vivere.

Di Frida ho sempre amato questi aspetti ambivalenti, la crudezza delle immagini descritte nei suoi quadri e la poesia che ne traspare, la capacità di trasfigurare anche gli eventi più drammatici della sua vita in lirica pura.
E credo che la mostra di Genova sia in grado di sottolineare benissimo questo aspetto.

Frida è estrema e naturale al tempo stesso, sembra raccontare storie assurde, al limite del surrealismo, pur parlando di se stessa, delle cose di ogni giorno, di fatti quotidiani, degli uomini, delle donne, di noi.


Guardate questa foto: cosa c’è di più reale di un busto di gesso, dipinto in uno dei tanti periodi passati inferma a letto? Frida dipinge sull’oggetto in cui ha dovuto vivere intrappolata per anni mettendo nero su bianco un’altra sofferenza: quella degli aborti e del desiderio di un figlio, tramutandolo in arte pura.

Amo di Frida la capacità di mettere in luce l’aspetto che per me è più importante dell’arte: farne lo specchio per ogni essere umano. Quante volte si sente dire, soprattutto dell’arte contemporanea, che non la capiamo, che non si capisce come uno strappo su una tela o qualche macchia di colore possa essere considerata arte? Oppure che è troppo difficile, che leggere un affresco del Rinascimento richiede troppe nozioni, troppe conoscenze, troppo di tutto.

Frida fa questo miracolo.
Artista sensibilissima e profonda ci mette davanti alla realtà.
Compone opere apparentemente strambe ed indecifrabili, parlando però di temi che hanno toccato tutti una volta nella vita: la gioia, la sofferenza,il dolore, un aborto, un amore sbagliato, una vita a tratti troppo difficile. E arriva a toccare le corde più profonde della nostra anima facendo sì che, chi sta guardando il suo quadro in quel momento, possa riconoscersi.
Nello sguardo spento, nella lacrima che scende, nel conflitto tra testa e cuore, nel gesto di una mano, nella postura.

Ed eccolo qui il miracolo: quell’opera incomprensibile e difficile siamo noi.

Ed in quel piccolo rettangolo di tela è incluso l’universo di azioni, cose, e sentimenti che ci rappresenta.

Non voglio dilungarmi oltre perché spero di avervi fatto venire di andarla a vedere coi vostri occhi questa mostra; vi lascio solo un ritratto fotografico di Frida, che non conoscevo, e che mi è rimasto nel cuore da ieri.

E’ uno scatto di Nickolas Muray, il celebre fotografo ungherese trapiantato in America, che per un periodo fu amante di Frida Khalo (anche questo l’ho scoperto ieri, oltre al fatto che fosse un fotografo eccezionale e all’avanguardia; pensate solo che fu il primo a fotografare il cibo per la pubblicità e, per renderlo più appetibile e quindi vendibile, ad utilizzare materiali non commestibili – schiuma da barba al posto della panna, una su tutte – alla faccia della pubblicità ingannevole).

Un ritratto che mi ha colpito profondamente - se pensate che è una foto scattata negli anni ’40 - per la qualità, la luce e la composizione, che la fanno sembrare più un dipinto del ‘500, che non una fotografia.

La sua mostra, che ho visitato ieri dopo quella di Frida, è allestita nel sottoporticato di Palazzo Ducale. Da non perdere.